Cambiamenti climatici e salute dei lavoratori. One Health

Anche se ormai dovrebbe essere patrimonio conoscitivo di tutti, non bisogna dimenticare come parlare di sostenibilità non significhi parlare di ambiente in senso lato, ma del complesso e variegato rapporto che lega, direttamente o indirettamente, tutto quello che ci circonda con la salute di tutte le forme di vita esistenti nel nostro pianeta. Il tutto secondo un principio di one-healt che, in sostanza, afferma che non c’è salute umana senza la salute di tutte le altre forme di vita presenti sul pianeta e senza un contesto ambientale e socioeconomico in grado accoglierne le necessità. Parlare di sostenibilità vuol dire, quindi, parlare contemporaneamente di molteplici argomenti, tutti indissolubilmente legati tra loro e dai quali dipende il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno. 

Il tutto può essere simbolicamente ricondotto ad un biliardo dove, qualità dell’ara, clima, stato economico, salute, sviluppo produttivo, urbanizzazione, acqua, rifiuti, politiche sociali e così via, altro non sono se non sfere che ogni volta che vengono colpite dalla stecca del giocatore interagiscono con le altre determinandone un diverso e conseguente movimento. E’ sarà proprio la capacità del giocatore di muovere in modo armonico ed interattivo tutte le sfere, che determinerà l’esito della partita. 

Ciononostante non tutte le componenti che stanno alla base dei 17 obiettivi su cui si articola la sostenibilità come intesa dall’Agenda 2030, vengono percepite allo stesso modo dal comune cittadino e tra queste il cambiamento climatico costituisce quella che, per i suoi effetti spesso eclatanti e per l’essere anche oggetto di maggior discussione, osservazione e dibattito mediatico, appare essere maggiormente avvertita. 

Aldilà dell’opinione di quanti, pochi sul piano scientifico qualificato, ma più numerosi sul piano dell’inerzia in termini di azione di contrasto, negano il riscaldamento globale è ormai sotto gli occhi di tutti, specie dei meno giovani, come un cambiamento climatico sia in corso e come questo non sia solo legato ai secolari o millenari cicli naturali, ma sia fortemente accelerato dall’attività umana, soprattutto dell’ultimo secolo. 

Senza sviscerare le tante osservazioni scientifiche che parlano del rapporto tra aumento della concentrazione dei gas serra, in primis l’anidride carbonica, e cambiamento climatico, va ricordato come detto cambiamento si esprima non solo attraverso un progressivo innalzamento delle temperature delle diverse componenti del pianeta, ma anche attraverso fenomeni apparentemente diversi e quanto mai diversificati quali inondazioni, cicloni, piogge intense, incendi, frane ed altro ancora. 

Ed in un tale contesto uno dei fronti che desta grandi preoccupazioni è quello del rapporto tra cambiamenti climatici e sviluppo produttivo e più in particolare la salute delle classi lavoratrici. Preoccupazioni che trovano riscontro in molteplici osservazioni scientifiche raccolte sia nella pubblicazione dell’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza del Lavoro del marzo 2023 “Climate Change: Impact on Occupational Safety and Health”, sia dai documenti prodotti dall’ ONU attraverso l’International Panel on Climate Change (IPCC); documenti dove si parla del rapporto tra clima e lavoro, sia in termini di effetti diretti come aumento della prevalenza, della distribuzione e anche la gravità dell’esposizione al calore o a fattori di rischio anche nuovi con un aumento dell’incidenza, della mortalità e delle lesioni, sia di effetti indiretti mediati da variazioni socio economiche, stato occupazionale, il reddito e l’accesso ai servizi sanitari. 

Per quanto riguarda gli effetti dei cambiamenti climatici ed in particolare del riscaldamento globale sull’organismo dell’uomo lavoratore, le conoscenze sono ormai molto ampie e prevedono, in rapida sintesi, quadri che vanno dal semplice discomfort termico, condizione in cui l’organismo riesce a garantire la termoregolazione attraverso l’attivazione dei sistemi di dispersione del calore, a più complessi quadri di stress termico dove i citati sistemi non riescono più a compensare l’accumulo di calore con possibilità di gravi manifestazioni generali, anche mortali. Il tutto passando attraverso fenomeni quali crampi da calore, dermatiti da sudore, squilibri idrominerali, sincope da calore, esaurimento da calore, colpo di calore o colpo di sole. Particolarmente vulnerabili agli effetti del calore sono poi lavoratori già portatori di affezioni croniche cardiovascolari, respiratorie, metaboliche o anche semplicemente più anziani.; non va neanche dimenticato come le elevate temperature favoriscano l’assorbimento respiratorio e cutaneo di molte sostanze tossiche volatili. 

Ovviamente il maggior irradiamento solare correlato ai mutamenti climatici, soprattutto nei lavori all’aperto produrrà anche un incremento di esposizione dei lavoratori a radiazioni solari UV, favorendo l’insorgenza soprattutto di fotodermatiti acute e croniche ed a lungo termine anche di cancro cutaneo, ivi compreso anche melanoma. Secondo alcuni l’esposizione protratta ad elevate temperature è anche in grado di provocare una maggior incidenza di cancro della mammella nelle donne.

Anche l’aumento di infortuni sul lavoro viene riportato quale ricaduta delle alte temperature ambientali e questo non solo nelle in lavorazioni all’aperto direttamente esposte alla variazioni climatiche (agricoltura, pesca, cantieristica..), ma anche in molte lavorazioni al chiuso gravate dal medesimo fattore di rischio. È anche noto come gli effetti avversi dei cambiamenti climatici vengano a gravare, con dimostrata e particolare gravità, sulle fasce di lavoratori a più basso stato socio economico 

Per quel che concerne, invece, gli effetti indiretti prodotti dai cambiamenti climatici sulla salute delle classi lavoratrici ancora una volta le situazioni da considerare sono molto diversificate. In tal senso si va dal disagio mentale e dallo stress evocati dal timore di esposizione ad eventi estremi (alluvioni, frane, incendi…), all’aumento di incidenza delle tante malattie trasmesse da vettori sensibili al clima (soprattutto zanzare), all’aumentato rischio di incidenti industriali (incendi, esplosioni, malfunzionamenti..) prodotto dalle alte temperature ambientali, per arrivare ai nuovi rischi connessi alla sfida della transizione ecologico industriale che impone lo sviluppo di nuovi impianti e nuove tecnologie di produzione; il tutto con necessità di intervenire in contesti spesso anche molto pericolosi o isolati ed introduzione di nuovi materiali anche gravati da importanti profili di rischio e/o ancora scarsamente conosciuti. 

Anche da queste brevi e non esaustive considerazioni emerge con tutta evidenza come, laddove non si riesca a contenere l’apporto delle attività umane al riscaldamento globale, stante l’ampiezza delle ricadute complessive dei cambiamenti climatici, per la salute dei lavoratori si venga a delineare un futuro non privo di aspetti preoccupanti e dove alle problematiche già note potranno aggiungersi aspetti di lesività anche scarsamente noti e del tutto nuovi 

Aspetti questi che saranno apprezzabili solo con il trascorrere del tempo con il rischio che, come successo in passato, ancora una volta siano proprio le classi lavoratrici, e tra queste quelle più fragil, a sperimentarne sulla propria pelle, la reale portata lesiva dei cambianti climatici; non a caso in questo ambito qualcuno parla addirittura dei lavoratori come nuovi “canarini”, rievocando i tempi in cui i canarini venivano introdotti negli ambienti sospetti di grave inquinamento per saggiarne le possibilità di sopravvivenza dei lavoratori. 

Come per la salute di tutti gli esseri viventi, quindi, anche per i lavoratori si profila uno scenario certamente molto complesso e fortemente legato anche alle scelte energetiche che verranno adottate dai governanti del pianeta; uno scenario che si presenta, quindi, tanto più inquietante, quanto più sarà lenta ed inefficace l’azione di mitigazione dei cambiamenti climatici, con previsioni drammatiche laddove si fallisca l’appuntamento con la neutralità termica fissato per il 2050.

[ Giorgio Miscetti ]

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Fonte WHO

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